di Paolo Maninchedda
Continuo a pensare e a dire che il perimetro culturale corretto per il confronto con l’Italia è quello di chi vuole costruire lo Stato sardo.
Uno dei temi del confronto è la proprietà e l’uso della ricchezza prodotta dai sardi.
Credo che nella prossima riunione di Giunta, o nella successiva, la Giunta varerà il disegno di legge sull’Agenzia delle Entrate. Sarà così più chiara la posizione del Governo regionale a cui abbiamo concorso in modo intenso.
Ma il tema centrale è se il fisco italiano è giusto.
Una considerazione generale: vado ripetendo da anni che la pressione fiscale italiana ha impedito l’accumulazione di capitale in Sardegna e ha reso fragilissimo il sistema economico sardo. Basta una crisi che duri più di un triennio e le riserve finanziarie delle imprese vanno in crisi.
È quello che sta succedendo in questi anni in Sardegna.
Perché il fisco italiano è ingiusto?
Perché considera artificiosamente l’Italia tutta uguale anche quando non lo è.
Consideriamo un dato utile per capirlo: il PIL pro capite. Sappiamo bene che non è un indicatore esaustivo della ricchezza, ma è comunque un indicatore facile da capire.
Guardate un po’ quanto è il PIL pro capite:
Provincia autonoma Bolzano 39.800; Valle d’Aosta 36.800; Lombardia 36.300; Provincia autonoma Trento 33.600; Emilia Romagna 32.500; Lazio 31.700; Liguria 30.200; Veneto 30.000; Toscana 29.000; Friuli Venezia Giulia 28.600; Piemonte 28.500; Marche 24.900; Umbria 24.400; Abruzzo 23.000; Molise 18.800; Sardegna 18.800; Basilicata 18.300; Campania 17.000; Sicilia 16.500; Puglia 16.200; Calabria 15.500.
Bolzano, Val d’Aosta e Lombardia hanno un PIL pro capite doppio rispetto alal Sardegna, ma il fisco è uguale per tutti.
A fronte di una ricchezza prodotta per regione molto diversa, la pressione fiscale è uguale. È chiaro che se io prelevo 100 dove si produce 150, lascio 50, se prelevo 100 dove si produce 110, lascio 10.
Questa è l’Italia, l’Italia del disordine, delle ipocrisie (leggete il libro di Cassese sulla Corte Costituzionale, il supremo organo politico d’Italia), del debito pubblico in continua crescita per colpa dei ministeri e non delle regioni. Questa è l’Italia. Non merita altro che un sano, pacifico e democratico contrasto con i sardi.
Eureka, che l’Agenzia finalmente si faccia! – con buona struttura giuridica e indipendenza amministrativa – e che le dimensioni del tavolo tecnico siano tanto importanti per la Regione quanto ingombranti per lo Stato. Perché se finalmente abbiamo compreso che le più grandi implicazioni dell’Agenzia sono il monitoraggio dell’anno fiscale sardo (e delle discrasie di fatto indipendenti dalla buona volontà dei sardi di uscire dalla crisi) e il raggiungimento di un buon livello di autonomia finanziaria della Sardegna (le tasse versate dai Sardi restino nell’Isola!), questa si che è una conquista culturale, di prospettiva futura, in controtendenza con chi finora ha pensato di finanziarsi con le elemosine dello stato, non reclamando il maltolto. E benchè l’Agenzia rimarrà al momento riferita all’entità contabile del governo, maggior capacità di spendita significa poter blindare da Statuto sardo interi settori del bilancio regionale, collegandoli a programmi di rafforzamento produttivo interno. Spero che nel frattempo qualcuno provi rimpianto per lo scioglimento nel 2011 della vecchia Agenzia per le Entrate, ma sopratutto per avere lasciato incompiuto l’importante progetto d’informatizzazione del catasto della Regione Sardegna (già istituzionalizzato), che nel frattempo è stato copiato dalle più avanzate regioni, e altri pilastri di mantenimento come lo studio di tasse ad effetto equivalente, o la domiciliazione fiscale delle imprese, che lungi dal significare una strangula fiscale avevano il significato di valorizzare il patrimonio immobiliare sardo e di oleare le dinamiche tra le forze produttive d’impresa. Il tutto per creare una stabilità di gettito, con imposizione agevolata, laddove l’imponente contrattura delle entrate, dal 2010 ad oggi è diventato un vero e proprio buco nero, tanto che non è più possibile distinguere tra chi evade le tasse, chi le elude e chi ruba o fa uso improprio dei soldi pubblici segnando l’andamento anticiclico dell’economia sarda. Le distorsioni dell’anno fiscale sardo: qualcuno si è preso la briga di studiarne l’andamento? Crediamo tutti che almeno il 60% dei problemi sardi potrebbe essere risolto con semplice buon senso e con una programmazione fiscale preventiva, a beneficio del lavoro e dei sistemi produttivi, anziché agire come al solito su problemi già incancreniti..
Vorrei ricordare alla Giunta – che sicuramente è assidua di questo interessantissimo blog da inserire in rassegna stampa quotidiana, da prendere come esempio di trasparenza amministrativa – che un team di professionisti, formato dalla Regione con tanto di soldi pubblici, attenderebbe riconferma nel proprio ruolo all’interno della ricostituenda Agenzia Sarda delle Entrate.