di Paolo Maninchedda
Noi siamo andati bene a queste elezioni. Ma possiamo dirci soddisfatti? Direi di no, su un punto soprattutto: il voto è tutto dominato da logiche italiane.
Il voto non vien dato sulle cose fatte o sui programmi.
Si vota a sentimento.
Vince chi riesce a interpretare un umore, uno status.
Nella formazione dell’opinione pubblica non conta più l’esattezza dell’informazione, ma la capacità di propalare uno slogan. Si è avverata la profezia di Pasolini. L’elettore è diventato come il potere lo ha sempre voluto: è diventato un consumatore. La sua scelta dipende dalla forza del prodotto di collocarsi nello scaffale giusto. Ma ciò che non si vede è che ormai il voto dell’elettore-consumatore incide sul cambio del prodotto, ma non sul supermercato, che sceglie i prodotti.
Il tema dei temi (chi comanda? come è organizzato il potere? perché la sovranità è il tema centrale?) non è in campo.
Colpa nostra?
Non saprei.
Noi forse abbiamo la responsabilità di non far sapere nulla del duro confronto in Giunta sui temi della sovranità (siamo alla quarta bozza del Disegno di legge sull’Agenzia delle Entrate; sulle Norme di attuazione dello Statuto c’è un dibattito stringente; sulle servitù militari siamo sempre in campo ecc. ecc.).
Facciamo sapere poco del duro scontro in atto sulle politiche del lavoro.
Forse ci affidiamo troppo all’equazione buon governo = aumento della fiducia in noi stessi = aumento del tasso di indipendentismo. Noi forse siamo troppo antiretorici.
Ma altri sono troppo dipendenti dalla propaganda italiana, troppo ingenui nell’aderire a ogni starnuto veicolato dalla televisione, troppo consumatori della facile indignazione inconcludente, troppo pronti a farsi manipolare.
C’è una nuova resistenza sarda da fare.
Quella di chi non butta tutto in battuta. Quella che si oppone alle generalizzazioni fasciste. Quella di chi si oppone alla piccola borghesia parassitaria “che farà arrivare i treni in orario”; quella che si oppone agli intellettuali da scrivania che “ti spiegano le tue idee senza fartele capire”; quella che si oppone ai tanti chiacchieroni dello sviluppo fatto sull’aumento del debito pubblico; quella che si oppone alle semplificazioni, ai facili linciaggi, ai faciloni della trasformazione immediata della realtà.
Questa resistenza ha quattro nomi: patria, libertà, cultura, impegno, dedizione.
È una prospettiva elitaria? Non saprei, ma non dobbiamo rinunciare alla cifra che ci sta caratterizzando: serietà, cultura, impegno, competenza, tolleranza, apertura, accoglienza.
L’anno prossimo ci saranno le elezioni di Cagliari e di Olbia. Bene, facciamo così: il Partito dei Sardi apre il laboratorio, ma è un laboratorio serio, non di facili slogan, non di piccoli complotti, non a esito scontato. Facciamo quello che abbiamo fatto in piccolo: formiamo classe dirigente seria.
A Nuoro apriremo il nostro circolo e sarà un circolo culturale non una sezione di partito vecchio stile.
Pagherà tutto questo? Sì, pagherà, perché non è strumentale, non è finto, non replica alcun modello italiano. Noi non rinunceremo mai a essere liberi e colti.
Comment on “Non rinunceremo a essere liberi e colti”
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Quando Silvio Berlusconi scese in campo negli anni 90, affidò la propria campagna pubblicitaria al maggiore esperto mondiale di pubblicità e marketing di prodotto.
Avrebbe potuto essere uno yogurt, una bicicletta o un politico ma in ogni caso avrebbe venduto tantissimo. Un conto fu ciò che vendette e un conto la qualità del prodotto. Per formare una classe dirigente seria si deve prescindere da quanto si agitano i vari attori, bensì valutarne preparazione, contenuti, risultati nella vita e nell’ambito professionale.