Questa volta ce la facciamo. Il numero dei votanti alle Primarias sta finalmente provocando un fenomeno che attendevamo da tempo: il riconoscimento reciproco. Sta avvenendo che il passa parola sta funzionando, che anche senza soldi, senza apparati, senza potere e con tutti i poteri schierati contro, la nostra marcia del sale sta continuando e si sta ingrossando. Noi non veniamo picchiati come accadeva agli indiani che marciavano; noi veniamo ignorati e a noi sta benissimo, perché camminiamo più veloci.
Ma la cosa più bella sta avvenendo nelle università. Molti colleghi mi dicono che stanno votando per le Primarias. Molti per convinzione, e alcuni per reazione contro il governo regionale attuale. Molti si sono infilati nella netta separazione tra Paci, che vota Sì alla Nazione, e Pigliaru che si iscrive al Pd. Uno va con i Garibaldini, l’altro rincula coi Borbone. L’Università si divide tra rivoluzione e conservazione.
Ieri ne parlavo con un collega, docente di Letteratura italiana.
Tutte le generazioni di docenti che hanno combattuto sprezzantemente l’espressione “nazione sarda”, sia quelli di scuola sassarese (cioè post-gentiliana) sia quelli di scuola marxista, sono andati in pensione. La Guerra fredda è andata in pensione anche in Sardegna, quella Guerra fredda interpretata stalinianamente che non capiva gli eretici di sinistra (Cardia, Sergio Atzeni – fatto santo solo dopo il decesso, secondo la migliore tradizione cattolica – i miei amici Peppino Marci e Luciano Carta), che li perseguitava e irrideva, tutto questo KGB è scomparso e oggi, invece, reggono il tempo proprio gli eretici perseguitati.
Sono andati in pensione i fiancheggiatori della Dc, i cattolici autonomisti che tiravano il liberalismo di Sturzo come si tira la pasta della pizza, pur di coprire con una patina ideologica il loro pragmatismo centrista, ricco di tanti piccoli fatti e povero di strategie, di rotte e di visioni. Sono andati in pensione i politici intellettualizzanti, cioè i politici incolti che però giocavano ad apparire coltissimi leggendo le prefazioni dei libri o riassumendo per gli astanti l’ultimo libro letto e che sono stati i più faziosi e i più settari, hanno diviso i Sardi, hanno irriso la loro storia, ne hanno falsificato la memoria, hanno inquinato i pozzi dell’educazione orientando al rivendicazionismo anziché alal responsabilità.
Tutto finito.
Tutta questa finzione di parole è finita.
Oggi sta in campo un fatto: migliaia di persone stanno dicendo “Noi“. Migliaia di persone stanno dicendo “Noi siamo una Nazione“. Migliaia di persone hanno rotto il tabù secolare che ci ha impedito di dire il nostro nome.
Sta accadendo che alle proposte di egemonia politica della Destra, della Sinistra e dei Cinquestelle, si sta contrapponendo credibilmente, cioè con numeri e sostenibilità di manovra elettorale, una proposta di cambiamento radicale, profondo e pacifico della struttura del potere, dell’economia, del diritto e della cultura in Sardegna. E la cosa più bella è che questa proposta è pacifica ma soprattutto popolare e non elitaria.
E sta accadendo che da molti Sardi emerge un desiderio di unità. L’altro giorno a Nuoro, io e Anthony Muroni, entrambi con un solidissimo curriculum di scontri durissimi, siamo stati seduti civilmente e serenamente allo stesso tavolo e il tema vero è stato uno solo: possiamo camminare insieme? I fatti, più delle singole volontà e dei limiti delle persone, stanno portando lì. Il Partito dei Sardi ha gambe solide per reggere l’urto elettorale: lo mette a disposizione dell’unità dei Sardi, ma questa volta facciamo davvero la storia. Noi non tradiremo mai le migliaia di persone che stanno votando per la Nazione sarda. Mai.